Autolesionismo e Disturbi Mentali negli Adolescenti

--Per autolesionismo, intendiamo comportamenti intenzionalmente autoinflitti che cagionano dei danni o distruzione dei propri tessuti corporei in assenza di un reale intento suicidario. È possibile classificare l'autolesionismo secondo 3 categorie: l'autolesionismo moderato che è definito compulsivo quando si declina in comportamenti quotidiani, come la tricotillomania (tirarsi i capelli) o l'onicofagia (mangiarsi le unghie) e risulta essere una forma di discontrollo degli impulsi; quello episodico, considerato come un tentativo di riacquisire un senso di controllo e padronanza di fronte a emozioni e pensieri intollerabili, mettendo in atto comportamenti autolesivi come tagliarsi, bruciarsi o colpirsi; ed, infine, l'autolsionismo ripetitivo, inteso come una dipendenza dal comportamento autolesivo, che può diventare identitario (Es. 'sono un cutter'). I comportamenti autolesionistici si manifestano attraverso tagli sulla pelle o tramite l'esposizione deliberata a situazioni di pericolo con la volontà di farsi del male; alcuni esempi sono cutting (tagliarsi), graffiarsi, colpirsi, provocarsi abrasioni, bruciarsi. Le parti del corpo più colpite sono braccia e gambe, piedi, parti intime e gli oggetti più utilizzati possono essere lamette, taglierini, oggetti appuntiti, accendini e sigarette. L'intento è quello di provocarsi dolore anche prendendo a pugni il muro, provocandosi fratture alle mani o rotture ossee, sbattendo la testa o dandosi pugni da soli.
Alla base di questi comportamenti sembrerebbe essere presente una difficoltà nel regolare e gestire le emozioni troppo forti che devono essere scaricate danneggiando il proprio corpo, solo così infatti i ragazzi riuscirebbero ad alleviare fisicamente la propria angoscia e il proprio disagio.
Il cutting, tra questi, è una forma deliberata di autolesionismo, che risulta essere associata sia a diversi disturbi mentali, come la depressione, il disturbo bipolare e il disturbo borderline di personalità, sia ad una popolazione di adolescenti non clinici. Inoltre, sembrerebbero essere presenti differenze di genere relativamente alla frequenza e alla motivazione dei comportamenti autolesionistici.
In uno studio di Hintikka et al. (2008) è stata indagata la prevalenza dei disturbi mentali e dei fattori ad essi associati in 4205 adolescenti che mettono in atto comportamenti autolesionistici, di età compresa tra 13 e 18 anni.
I sintomi depressivi sono stati indagati attraverso il Beck Depression Inventory (BDI); l'abuso nel consumo di alcol è stato misurato tramite l'Alcohol Use Disorder Identification Test (AUDIT); la competenza, il funzionamento adattivo e i comportamenti problematici sono stati, invece, analizzati attraverso lo Youth Self-Report (YSR). Infine, le diagnosi psichiatriche  si sono basate sulla valutazione clinica attraverso la SCID-I (Structured Clinical Interview for DSM-IV-TR).
Da tale studio si rileva che i disturbi mentali, soprattutto il disturbo depressivo maggiore, sono molto comuni nel campione di ragazze che praticano autolesionismo. Inoltre, i comportamenti internalizzanti e l'abuso di alcol sono predittori di comportamenti autolesionistici, indipendentemente dalla presenza di disturbi mentali e, infine, i Disturbi depressivi, i Disturbi d'ansia e i Disturbi alimentari sono più comuni negli adolescenti che praticano l'autolesionismo rispetto al gruppo di adolescenti che non mettono in atto nessuna condotta di autolesionismo.
Tale disagio, infatti, si può manifestare frequentemente con sintomi ansiosi o depressivi. È possibile riscontrare negli adolescenti repentini sbalzi d'umore non giustificati da «trigger», tendenza ad addormentarsi in classe, rallentamento cognitivo e psicomotorio, labilità emotiva, scarsa tolleranza alla frustrazione con episodi di rabbia e rifiuto alla partecipazione a occasioni di condivisione. Ed, infine, diversi studi sottolineano come condotte autolesive costituiscono fattori di rischio significativi per il suicidio; infatti, la progressiva desensibilizzazione al dolore fisico attraverso ripetute pratiche di auto-danneggiamento potrebbe favorire la messa in atto del gesto estremo del togliersi la vita.
Risulta, quindi, necessario attenzionare il disagio degli adolescenti, già dai primi segnali d'allarme che possono osservare genitori o insegnanti, al fine di attuare tempestivamente adeguati interventi a supporto delle loro difficoltà e al fine di prevenire una cronicizzazione di diversi disturbi mentali. 

 

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Ospedale Pediatrico Bambino Gesù - U.O. Neuropsichiatria Infantile

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